e ho gli occhi bendati.
Sono sicuro che tu sei qui con me nella sala.
Qui c'ero già stato, libero di guardarmi attorno allora, e mi ricordo che era grande, abbastanza grande da non riuscire a capire, ora, dove mi abbiano lasciato.
Sono seduto sopra un tappeto, questo lo so perché l'ho scelto io, me l'avevano chiesto prima di entrare già con la benda sugli occhi, ma quanti ce ne sarannno qui dentro? Mentre si spostano le voci e gli odori, mentre una storia d'amore tra un vedente e una non vedente si offre a tutti i sensi tranne che alla vista, io penso a te.
Ci devono essere tanti tappeti qui attorno, come tante isole nel mare del pavimento, e su queste isole persone come naufraghi; tante o poche non so dirlo, la cecità che ci hanno imposto non ci è familiare, cerchiamo casa dentro di noi e ci facciamo solitari e schivi con i nostri nuovi vicini: silenziosi, ci muoviamo pochissimo, anzi nulla; un colpo di tosse ogni tanto, ma sembra sempre lo stesso, forse è qualcuno ammalato.
Sono certo che anche tu hai chiesto di sederti sul tappeto, anche se sento, ad occhi chiusi, che le nostre due isole sono lontanissime: forse, se potessimo, vedremmo sorgere il sole da direzioni diverse io e te.
Ci stiamo cercando?
Io immagino di poter allungare le braccia e riuscire a navigare tra le correnti di cemento che stanno tra un tappeto e l'altro, fino a raggiungere le tue mani, ma non è una cosa che sento con la testa, anzi, se potessi non sarebbero ne le braccia, ne le mani che ci stanno attaccate in cima che si muoverebbero per raggiungerti, ma la pancia, la pancia tutta a partire dalla bocca dello stomaco che vorrebbe trovare la tua, perché è da lì che parte questa sensazione che continua a dirmi che anche tu mi stai cercando allo stesso modo.
Qui c'ero già stato, libero di guardarmi attorno allora, e mi ricordo che era grande, abbastanza grande da non riuscire a capire, ora, dove mi abbiano lasciato.
Sono seduto sopra un tappeto, questo lo so perché l'ho scelto io, me l'avevano chiesto prima di entrare già con la benda sugli occhi, ma quanti ce ne sarannno qui dentro? Mentre si spostano le voci e gli odori, mentre una storia d'amore tra un vedente e una non vedente si offre a tutti i sensi tranne che alla vista, io penso a te.
Ci devono essere tanti tappeti qui attorno, come tante isole nel mare del pavimento, e su queste isole persone come naufraghi; tante o poche non so dirlo, la cecità che ci hanno imposto non ci è familiare, cerchiamo casa dentro di noi e ci facciamo solitari e schivi con i nostri nuovi vicini: silenziosi, ci muoviamo pochissimo, anzi nulla; un colpo di tosse ogni tanto, ma sembra sempre lo stesso, forse è qualcuno ammalato.
Sono certo che anche tu hai chiesto di sederti sul tappeto, anche se sento, ad occhi chiusi, che le nostre due isole sono lontanissime: forse, se potessimo, vedremmo sorgere il sole da direzioni diverse io e te.
Ci stiamo cercando?
Io immagino di poter allungare le braccia e riuscire a navigare tra le correnti di cemento che stanno tra un tappeto e l'altro, fino a raggiungere le tue mani, ma non è una cosa che sento con la testa, anzi, se potessi non sarebbero ne le braccia, ne le mani che ci stanno attaccate in cima che si muoverebbero per raggiungerti, ma la pancia, la pancia tutta a partire dalla bocca dello stomaco che vorrebbe trovare la tua, perché è da lì che parte questa sensazione che continua a dirmi che anche tu mi stai cercando allo stesso modo.
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