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nouvelle vague.

un abbraccio, un bacio maldestro, l’aria fredda del mattino, le insegne spente del bar, le strisce pedonali, le macchine che passano, la luce rossa del semaforo, i tuoi occhi, la punta consunta delle mie scarpe, l’asfalto, il rumore dei tuoi tacchi, il nostro silenzio, le chiavi della macchina, il riflesso del tuo viso sui vetri, il rumore del motore, il brusio della radio, i palazzi di periferia, la nebbia delle strade di provincia, il fischio del vento dal finestrino chiuso, il click dell’accendisigari, il fischio del vento dal finestrino in fessura, il fumo di una sigaretta, il tuo labbro morsicato nello specchietto retrovisore, il brusio della radio, gli alberi ai lati della strada, una macchina in direzione opposta, le tue mani nervose, una canzone alla radio, la nebbia, una lacrima sulla tua guancia, un’indicazione stradale, una macchina in direzione opposta.

ci sono.

Immagine
ci sono ricordi che sbiadiscono, ferite che rimarginano, persone di cui non ricordiamo più il viso, eppure non possiamo fare a meno di sentire che c'era uno spazio che occupavano, oggi che si mostrano in tutto il loro non essere più, che si fanno nicchie vuote per santi già ascesi, o finestre silenziose.

vedo.

vedo nella faccia dei passanti le immagini che gli mancano come piante avvizzite a cui non hanno dato da bere amore o una carezza che trattengono le lacrime perché ne hanno sete che si mangerebbero il cuore degli altri, perché hanno fame e non lo sanno.

cosa rimane?

e cosa rimane dopo la festa? di carpentieri operosi, ballerine e pasticceri che si sono prodigati in lungo ed in largo per la città, per costruire quei pochi minuti d'allegria? dove sono finiti? sono nascosti dietro il tuo sguardo triste che si perde lontano da me? di nani in doppiopetto, di sipari pesanti e fuochi d'artificio nel cielo non trovo più traccia, dove li hai messi? li hai nascosti dietro l'ombra del tuo profilo scostante, che si allunga quasi fino a lambirmi? e dei santi benevolenti, dei cani ammaestrati e dei miracoli che ci eravamo promessi, qualcuno sa che fine hanno fatto? guardo per strada e di stelle filanti, biglietti strappati e bastoncini di zucchero filato qualcuno ha già pensato di lasciarne in giro solo qualche souvenir. nessuno spazzino educato, però mi ha chiesto se volevo mi pulissero via il tuo di ricordo, e adesso è lì, sulla sedia che era della reginetta della parata, agghindato come una vecchia signora senza de...

Ricetta per un sabato quasi perfetto.

ingredienti: una giornata tardo invernale; un pacco tirato da un amico per narcolessia; una visita al museo di anatomia; tre amici fidati; un barista fidato; occhi neri e profondi, del genere -continuo a vederli anche se chiudo le palpebre-, è importante non esagerare con le dosi: due sono sufficienti, tre sono troppi; un the alla menta offerto da un kebabbaro di San Salvario; due bicchieri di moscato chinato; tre giacche da motociclista colorate, anni '70; una lampada glitter space age; una manciata di granaglie; tre bestemmie con brio; pioggia quanto basta; preparazione: dividere a metà la giornata tardo invernale, metterne una parte in una terrina metallica abbastanza capiente, l'altra versarla in una seconda terrina di plastica. Lo stesso fate con gli amici, divideteli in due gruppi diseguali, uno da uno e uno da due. Ponete sul tavolo gli occhi neri e profondi e durante la preparazione della pietanza controllate spesso da che parte puntano lo sguardo. Prendete la visita al...

e ho gli occhi bendati.

Sono sicuro che tu sei qui con me nella sala. Qui c'ero già stato, libero di guardarmi attorno allora, e mi ricordo che era grande, abbastanza grande da non riuscire a capire, ora, dove mi abbiano lasciato. Sono seduto sopra un tappeto, questo lo so perché l'ho scelto io, me l'avevano chiesto prima di entrare già con la benda sugli occhi, ma quanti ce ne sarannno qui dentro? Mentre si spostano le voci e gli odori, mentre una storia d'amore tra un vedente e una non vedente si offre a tutti i sensi tranne che alla vista, io penso a te. Ci devono essere tanti tappeti qui attorno, come tante isole nel mare del pavimento, e su queste isole persone come naufraghi; tante o poche non so dirlo, la cecità che ci hanno imposto non ci è familiare, cerchiamo casa dentro di noi e ci facciamo solitari e schivi con i nostri nuovi vicini: silenziosi, ci muoviamo pochissimo, anzi nulla; un colpo di tosse ogni tanto, ma sembra sempre lo stesso, forse è qualcuno ammalato. Sono certo che a...