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è della polvere.

è della polvere che mi preoccupo non del tempo che passa non della distanza che ho messo tra noi è dalla polvere che mi guardo che ricopre le crepe che ho cercato di aprire e fa sembrare mare in bonaccia la tempesta che volevo arrivasse è della polvere che non mi fido delle sue carezze morbide dove prima sentivo schegge infilarsi sotto la pelle dei suoi occhiali kodachrome colorati e siamo io e te sulla spiaggia  ed un pallone mentre un cane abbaia e si porta via gli asciugamani mentre fuori si vedono carcasse di animali andare a fuoco tra l’immondizia e nel fumo nero si sente il grido della polvere che mi dice prima era meglio.

primo sole di primavera

ed il sole in cielo cacciabombardiere di primavera svuota sante barbare grigio casalingo e sgancia grappoli di nonni tristi sulle panchine nei parchetti a centro strada.

solo a lavorare.

siete nati nella povertà destinati solo a lavorare per regalarmi il boom la possibilità di imparare la libertà del precario il pensiero dei miei figli destinati solo a lavorare.

all'ora di pranzo.

Passa davanti al mio tavolo. Era da un po’ che non la vedevo, credo prima delle vacanze di natale. Quando arriva giusto di fronte a me, m’accorgo che le feste le hanno regalato una pancia da mamma. Dura un attimo. Sono sicuro mi abbia già visto arrivando, mi riguarda con la coda dell’occhio mentre cammina e fa in modo di girarsi di tre quarti verso di me, con la sua maternità. -Sono incinta, visto?!-, lo pronuncia senza parole, con l’eloquenza della sua posa, forse a dire che ci ha pensato qualcun’altro, è tardi, ma questo lo capirò solo dopo. La guardo incantato per quel poco di secondo in cui tutto accade, e giuro, mi sento felice, per lei. E’ radiosa nel suo abito di lana grigio che le arriva alle ginocchia e che le accarezza la pancia; un misto di sicurezza e tranquillità nel suo sorriso mentre c’è solo lei ora in mezzo alla coda per la mensa, raffigurazione di una madonna in attesa e, poi, senza aver dato nessun preavviso, si rigira e scompare dentro il brusio delle stoviglie.

Nel vuoto cosmico.

Ti amo, nel vuoto cosmico m'esce di dirtelo da parole con la bocca che la gravità di solito lascia tra stomaco e diaframma. ero salito su per le scale che mi sentivo piccolo davanti a te, mi sono detto mi farò grande, mi noterà quando però sei passata dal piano terra neanche un suono m'ha voluto abbandonare e io m'agitavo colle braccia che hai chiamato i tecnici dell'ascensore pensando bene fossi rimasto bloccato. Ti amo, nel vuoto cosmico le comete han tutte la tua di faccia su un adesivo attaccato al parafango della coda. ho preso coraggio e son salito su tetto, mi sono detto farò un figurone come i beatles o gli u2 quando però sei passata giù per la strada non è stato un problema con gli ampli e tutto il resto quel gorgoglìo indistinto che t'ha fatto pensare ad una messa nera in centro e t'ha fatto scappare erano le mie budella che non sapevan cosa dire. Ti amo, nel vuoto cosmico la via lattea mi canta una nin...