Mi saluta, lo vedo distintamente.
E' mio nonno quello che adesso sta muovendo la mano per me dalla banchina, mentre il tram è fermo al semaforo e io ci sono seduto dentro.
Lo so cosa vorrebbe dirmi se il suo sguardo potesse parlare, che ho fatto bene a lasciare tutto per venire qui, che ero sprecato per rimanere, che anche se ho lasciato i mie, gli amici e gli affetti per seguire un sogno, che tutto questo, preso e sommato, non vale quello che ho imparato adesso.
Lui è sempre stato uno testardo, di quelli che hanno vissuto le guerre e hanno preso la fame, prima appena nato e poi con la seconda guerra; ha tirato su una famiglia con mia nonna, fatto studiare fino alle medie mio padre e mia zia, e, giusto per non perdere l'allenamento, ha cresciuto anche me, tenendomi a bada quando i miei andavano al lavoro. Da piccolo, mi sgridava sempre se lasciavo qualcosa nel piatto, mi diceva che mi ci voleva qualche carestia per imparare, e che ero fortunato perché non mi era mai mancato nulla. Io non riuscivo a capire allora, e non riuscivo ad arrabbiarmi con lui e con mia nonna, che mi riempiva troppo il piatto per paura che non mangiassi abbastanza.
Adesso che la cena me la faccio io, le scatolette non mi rimproverano granché e non mi mettono al corrente delle loro esperienze passate; se tra loro qualcuna era la confezione di una militarissima razione k nessuna lo dice. Nemmeno a pranzo, quando la mensa del palazzo dove lavoro, mi accoglie con i sorrisi e bronci delle signore nascoste dietro il lungo bancone che ci divide, lucente e vaporoso, non sento più la raccomandazione di mangiare senza lasciare niente, ma ho capito cosa voleva dire mio nonno.
Lo confesso, non sono passato indenne attraverso gli anni del boom, del benessere a tutti i costi; i miei il motorino e i vestiti firmati per fortuna non me li hanno mai presi, ma ho capito solo dopo che non bastava, che ad essere viziato purtroppo c'ero anch'io.
Io i sacrifici non li avevo mai fatti, molti miei amici per pagarsi l'università e tutti i libri, lavoravano come camerieri in qualche locale, io no. Quando sono andato ad abitare fuori casa con i miei amici, non troppo distante, la biancheria arrivava ancora a mia madre, per non parlare di quante volte alla mia cena pensava ancora lei, e potrei continuare la lista ancora per molto.
Mio nonno, chissà quante cose non mi ha raccontato su cosa ha fatto, dove ha lavorato, quali strade l'hanno portato ad essere mio nonno. So però che non ha mai avuto una macchina, ha sempre girato con una vespa; mi ricordo che mi portava spesso con se, seduto dietro aggrappato a lui. Una volta, eravamo appena partiti e lui subito frena e mette in cavalletto con me sopra; smonta e si dirige poco distante guardando per terra: era riuscito a vedere una rondella luccicare e si era fermato per raccoglierla; quando gli chiesi perché, mi rispose che poteva sempre tornare utile. Mi ricordo che all'inizio raccontavo questa cosa ai miei amici per prenderlo in giro, adesso invece lo faccio per dimostrare quanto siamo diversi rispetto a due generazioni fa.
Io queste cose, per capirle, ho avuto bisogno di andare lontano da casa; un po' scappare, un po' fare armi e bagagli per partire, e a dirla bene, andarmene non è stata tutta farina del mio sacco, c'è voluta una donna che mi spronasse a farlo. Ho dovuto guardare con quasi quattrocento chilometri di distacco quello che avevo per poterlo definire, assieme al fatto di provare sulla mia pelle quanta fatica ci vuole ad andare avanti da soli.
Ama la vita e non fermarti – lo dice con le labbra, e non serve che mio nonno usi la voce perché io lo senta – Ama la vita e non smettere di imparare!
Gli faccio un cenno con la mano per dirgli che ho capito, che ha ragione.
Spero sia ancora miope come me lo ricordavo, così non può vedere che ho gli occhi lucidi e non si arrabbi, lui che mi ripeteva sempre quand'ero bambino, che noi maschietti non bisogna piangere, che bisogna essere forti.
Ma io adesso non ce la faccio a non piangere guardando mio nonno dal finestrino, pensando che sono nove anni che non c'è più, e che ora mi sta sorridendo, seguendomi con lo sguardo mentre il tram riprende la corsa e si allontana.
Lo so cosa vorrebbe dirmi se il suo sguardo potesse parlare, che ho fatto bene a lasciare tutto per venire qui, che ero sprecato per rimanere, che anche se ho lasciato i mie, gli amici e gli affetti per seguire un sogno, che tutto questo, preso e sommato, non vale quello che ho imparato adesso.
Lui è sempre stato uno testardo, di quelli che hanno vissuto le guerre e hanno preso la fame, prima appena nato e poi con la seconda guerra; ha tirato su una famiglia con mia nonna, fatto studiare fino alle medie mio padre e mia zia, e, giusto per non perdere l'allenamento, ha cresciuto anche me, tenendomi a bada quando i miei andavano al lavoro. Da piccolo, mi sgridava sempre se lasciavo qualcosa nel piatto, mi diceva che mi ci voleva qualche carestia per imparare, e che ero fortunato perché non mi era mai mancato nulla. Io non riuscivo a capire allora, e non riuscivo ad arrabbiarmi con lui e con mia nonna, che mi riempiva troppo il piatto per paura che non mangiassi abbastanza.
Adesso che la cena me la faccio io, le scatolette non mi rimproverano granché e non mi mettono al corrente delle loro esperienze passate; se tra loro qualcuna era la confezione di una militarissima razione k nessuna lo dice. Nemmeno a pranzo, quando la mensa del palazzo dove lavoro, mi accoglie con i sorrisi e bronci delle signore nascoste dietro il lungo bancone che ci divide, lucente e vaporoso, non sento più la raccomandazione di mangiare senza lasciare niente, ma ho capito cosa voleva dire mio nonno.
Lo confesso, non sono passato indenne attraverso gli anni del boom, del benessere a tutti i costi; i miei il motorino e i vestiti firmati per fortuna non me li hanno mai presi, ma ho capito solo dopo che non bastava, che ad essere viziato purtroppo c'ero anch'io.
Io i sacrifici non li avevo mai fatti, molti miei amici per pagarsi l'università e tutti i libri, lavoravano come camerieri in qualche locale, io no. Quando sono andato ad abitare fuori casa con i miei amici, non troppo distante, la biancheria arrivava ancora a mia madre, per non parlare di quante volte alla mia cena pensava ancora lei, e potrei continuare la lista ancora per molto.
Mio nonno, chissà quante cose non mi ha raccontato su cosa ha fatto, dove ha lavorato, quali strade l'hanno portato ad essere mio nonno. So però che non ha mai avuto una macchina, ha sempre girato con una vespa; mi ricordo che mi portava spesso con se, seduto dietro aggrappato a lui. Una volta, eravamo appena partiti e lui subito frena e mette in cavalletto con me sopra; smonta e si dirige poco distante guardando per terra: era riuscito a vedere una rondella luccicare e si era fermato per raccoglierla; quando gli chiesi perché, mi rispose che poteva sempre tornare utile. Mi ricordo che all'inizio raccontavo questa cosa ai miei amici per prenderlo in giro, adesso invece lo faccio per dimostrare quanto siamo diversi rispetto a due generazioni fa.
Io queste cose, per capirle, ho avuto bisogno di andare lontano da casa; un po' scappare, un po' fare armi e bagagli per partire, e a dirla bene, andarmene non è stata tutta farina del mio sacco, c'è voluta una donna che mi spronasse a farlo. Ho dovuto guardare con quasi quattrocento chilometri di distacco quello che avevo per poterlo definire, assieme al fatto di provare sulla mia pelle quanta fatica ci vuole ad andare avanti da soli.
Ama la vita e non fermarti – lo dice con le labbra, e non serve che mio nonno usi la voce perché io lo senta – Ama la vita e non smettere di imparare!
Gli faccio un cenno con la mano per dirgli che ho capito, che ha ragione.
Spero sia ancora miope come me lo ricordavo, così non può vedere che ho gli occhi lucidi e non si arrabbi, lui che mi ripeteva sempre quand'ero bambino, che noi maschietti non bisogna piangere, che bisogna essere forti.
Ma io adesso non ce la faccio a non piangere guardando mio nonno dal finestrino, pensando che sono nove anni che non c'è più, e che ora mi sta sorridendo, seguendomi con lo sguardo mentre il tram riprende la corsa e si allontana.
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