Vorrei cambiare lavatrice.
E' una di quelle sere dove vorrei prendere e cambiare lavatrice.
Piove, forse nevischio, e fa freddo, così freddo che non ho voglia di tener aperta la porta che da sul cortile del palazzo per far uscire l'odore di salmone in padella che c'è in cucina.
Però non avrei remore a cambiare lavatrice, ora.
E' colpa di uno dei troppi volantini delle offerte speciali che trovo nella cassetta delle poste: mi sono già assuefatto a telefonini, televisori e decoder per la nuova televisione, lettori mp3 e condizionatori, filetti di carne e batterie di flaconi di detersivi per lavare piatti, alle lavatrici no. Forse non ancora.
Il loro monocolo sornione mi spia dalla pagina e io provo un brivido di desiderio ad incrociare il loro sguardo lucido. Compulsione al possesso, tante esse quante sono le curve ammiccanti che si rivelano dentro il loro corpo dal perimetro asessuato.
Voglio cambiare lavatrice, ne voglio una che sappia trattarmi delicatamente come fa con i golfini di cachemire, che mi accarezzi con la sua dolcezza traforata se di tanto in tanto metterò la testa oltre il limite del suo oblò, riempiendo la sua vaschetta di shampoo e balsamo, anche se non ho più capelli.
Voglio cambiare lavatrice, non ne voglio con la carica dall'alto, mi fanno sentire, a me, colletto bianco a mille euro e qualcosa, ancora più proletario di quanto non volesse già fare Wright Mills, con la loro oscena bocca vorace che mi pigola in faccia perché ha fame, perché chiede anche le mutande che mi sono appena levato.
Non le voglio con poche funzioni, tutte automatiche con un solo bottone, come scatole nere, perfette icone cognitive, le voglio plagiabili, manipolabili manualmente su azioni e temperature, persino sulla quantità d'acqua per mondare via sporco e detersivo.
Ma non le voglio ossequiose.
No, devono urlare e sputarmi addosso il loro disprezzo quando sale la velocità della centrifuga; devono ricordarmi chi comanda veramente, chi tiene in mano il tubicino della flebo mentre continua il mio stillicidio di panni sporchi, che si accumulano, si coalizzano e si fanno sbattere dentro un cestello umido.
Voglio cambiare lavatrice.
Voglio che telefoni a mia madre per dirle che va tutto bene, che anche oggi ho pensato a lei e al bucato da fare, che la casa è in ordine così com'è. Che non c'è più posto ne sul tavolo nel sul divano per appoggiarci qualcosa, che possa succhiarle, le cose, con il suo cestello e risputarle, riordinate e spolverate dove meglio crede in questo cazzo di buco di casa; che lo possa allagare d'acqua, sapone e tubi fino a farlo diventare il secondo utero che mi ospita. Che mi lasci lì a pensare, cazzi miei.
Voglio cambiare lavatrice.
Voglio cambiare lavatrice, merda.
Piove, forse nevischio, e fa freddo, così freddo che non ho voglia di tener aperta la porta che da sul cortile del palazzo per far uscire l'odore di salmone in padella che c'è in cucina.
Però non avrei remore a cambiare lavatrice, ora.
E' colpa di uno dei troppi volantini delle offerte speciali che trovo nella cassetta delle poste: mi sono già assuefatto a telefonini, televisori e decoder per la nuova televisione, lettori mp3 e condizionatori, filetti di carne e batterie di flaconi di detersivi per lavare piatti, alle lavatrici no. Forse non ancora.
Il loro monocolo sornione mi spia dalla pagina e io provo un brivido di desiderio ad incrociare il loro sguardo lucido. Compulsione al possesso, tante esse quante sono le curve ammiccanti che si rivelano dentro il loro corpo dal perimetro asessuato.
Voglio cambiare lavatrice, ne voglio una che sappia trattarmi delicatamente come fa con i golfini di cachemire, che mi accarezzi con la sua dolcezza traforata se di tanto in tanto metterò la testa oltre il limite del suo oblò, riempiendo la sua vaschetta di shampoo e balsamo, anche se non ho più capelli.
Voglio cambiare lavatrice, non ne voglio con la carica dall'alto, mi fanno sentire, a me, colletto bianco a mille euro e qualcosa, ancora più proletario di quanto non volesse già fare Wright Mills, con la loro oscena bocca vorace che mi pigola in faccia perché ha fame, perché chiede anche le mutande che mi sono appena levato.
Non le voglio con poche funzioni, tutte automatiche con un solo bottone, come scatole nere, perfette icone cognitive, le voglio plagiabili, manipolabili manualmente su azioni e temperature, persino sulla quantità d'acqua per mondare via sporco e detersivo.
Ma non le voglio ossequiose.
No, devono urlare e sputarmi addosso il loro disprezzo quando sale la velocità della centrifuga; devono ricordarmi chi comanda veramente, chi tiene in mano il tubicino della flebo mentre continua il mio stillicidio di panni sporchi, che si accumulano, si coalizzano e si fanno sbattere dentro un cestello umido.
Voglio cambiare lavatrice.
Voglio che telefoni a mia madre per dirle che va tutto bene, che anche oggi ho pensato a lei e al bucato da fare, che la casa è in ordine così com'è. Che non c'è più posto ne sul tavolo nel sul divano per appoggiarci qualcosa, che possa succhiarle, le cose, con il suo cestello e risputarle, riordinate e spolverate dove meglio crede in questo cazzo di buco di casa; che lo possa allagare d'acqua, sapone e tubi fino a farlo diventare il secondo utero che mi ospita. Che mi lasci lì a pensare, cazzi miei.
Voglio cambiare lavatrice.
Voglio cambiare lavatrice, merda.
Commenti
Posta un commento